PNRR, ogni promessa è un debito (Articolo pubblicato su Lo Spiffero)

Parlare di Pnrr, di impatto sulle nostre amministrazioni regionali e locali e di prospettive economiche nel medio-lungo periodo può apparire del tutto fuori luogo in questo periodo. Non abbiamo, infatti, nemmeno fatto in tempo ad uscire da una pandemia mondiale – che ha causato più di 6 milioni di morti in tutto il mondo e danni per l’economia ancora ben lungi dall’essere riassorbiti – che la guerra, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per le persone coinvolte, è tornata nel cuore dell’Europa, mettendo fine ad un lungo periodo di pace che ciascuno di noi dava, evidentemente sbagliando, per scontato.

Dal febbraio 2020 ad oggi abbiamo assistito, nostro malgrado, al completo stravolgimento delle nostre certezze, vivendo uno stato di emergenza – economica, sociale, sanitaria, finanche emotiva – che ha determinato interventi di natura straordinaria. E il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – cioè l’attuazione in Italia del Recovery Plan previsto in sede europea nell’ambito del Next Generation Eu, il Pnrr appunto – è ascrivibile proprio a questi interventi straordinari. Anzi, da questo punto di vista, è lo strumento finanziario principale, redatto e messo in campo proprio per far ripartire le economie europee, già in precedenza fortemente minacciate dalla competizione globale, e ancora più in affanno a seguito della diffusione del covid-19.

I numeri sono noti: 750 miliardi di euro a disposizione dei 27 Paesi Ue, suddivisi tra una quota di sovvenzioni (circa 360 miliardi) e una quota di prestiti (circa 390 miliardi), di qui al 2026. In questo quadro, le risorse previste per l’Italia sono ingenti, e cioè un totale di 191,5 miliardi, di cui 68,9 come contributi a fondo perduto e 122,6 di prestiti. Il Pnrr italiano ha, dunque, la dotazione finanziaria complessiva più ampia, perché qui si è deciso di far ricorso ai prestiti nella misura massima possibile: dei circa 166 miliardi di cui gli Stati europei hanno scelto di dotarsi ricorrendo a tale ulteriore forma di indebitamento, infatti, quasi il 74% (122,6 miliardi, appunto) è destinato all’Italia. Per fare un esempio, la Spagna ha deciso di richiedere e, quindi, impiegare le sole risorse a fondo perduto (circa 70 miliardi), così come la Francia (41 miliardi), la Germania (28 miliardi) e tanti altri Stati meno paragonabili all’Italia per Pil e numero di abitanti. Per questi ultimi, dunque, nessun indebitamento ulteriore rispetto all’attuale consistenza del loro stock di debito pubblico.

Questi dati ci costringono, pertanto, a sottolineare un altro aspetto significativo, che però nella narrazione quotidiana sulle virtù e sulle opportunità del Pnrr tende a non emergere in tutta la sua portata: e cioè che l’ingente quota a prestito – che l’Italia ha deciso di impiegare tra il 2021 e il 2026 per finanziare la gran parte delle sei missioni previste dal piano – dovrà essere rimborsata in trent’anni, tra il 2028 e il 2058. Come? Riducendo le spese, aumentando le entrate o emettendo debito proprio, per un importo che sarà certamente tra i 4 e i 5 miliardi annui, anche in virtù di un ormai certo aumento dei tassi di interesse, che peraltro già in queste settimane ha iniziato la sua corsa verso l’alto.

Ecco perché ho ritenuto opportuno, in tutte le occasioni in cui mi sono trovato pubblicamente ad illustrare le linee di azione del Pnrr a favore delle amministrazioni locali, sottolineare l’importanza di impiegare al meglio le risorse disponibili: l’obiettivo prioritario deve essere quello di mettere a terra un “piano di riforme, di semplificazioni e di razionalizzazioni, di norme abilitanti la crescita, di azioni volte a superare i divari territoriali, ad assicurare la parità di genere e la piena partecipazione alla vita economica da parte delle nuove generazioni”.

È proprio quanto ha affermato la scorsa settimana il ministro Franco nel corso dell’audizione presso le Commissioni parlamentari congiunte Bilancio e Finanze di Camera e Senato, sede in cui ha aggiornato il Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr. Ed è esattamente quanto penso anch’io sia doveroso perseguire, perché l’obiettivo che dobbiamo darci, concreto e misurabile, è di aumentare sensibilmente il tasso di occupazione, con particolare riguardo a chi oggi ha meno opportunità, cioè giovani, donne e residenti nelle aree periferiche del Paese.

Anche su questo aspetto, giusto per ricordare un paio di numeri a supporto di tale urgenza: l’Italia ha un tasso di occupazione che, pur registrando – secondo i dati Istat diffusi qualche giorno fa – una crescita del 2,4% rispetto a dodici mesi prima, a febbraio 2022 supera di poco il 59% della popolazione attiva, mentre la Francia a fine 2021 superava il 68% e il Regno Unito, paragonabile a noi per numero di abitanti, era oltre il 75%. Significa che in Italia abbiamo meno di 23 milioni di occupati che producono reddito, consumi e gettito erariale diretto e indiretto, mentre in Francia e nel Regno Unito se ne contano certamente più di 30 milioni in termini assoluti. Una bella – bella si fa per dire! – differenza, che anche solo intuitivamente ci dovrebbe allarmare, specie in relazione alla possibilità di finanziare, e per quanto tempo ancora, le attuali misure assistenziali.

Le amministrazioni, a tutti i livelli, vedono le risorse del Pnrr come una straordinaria opportunità per rilanciare le loro comunità locali. E giustamente sono preoccupate di poter essere all’altezza con le proprie strutture nel rispondere ai bandi e nella fase della progettazione, per non ritrovarsi paradossalmente un pugno di mosche in mano. È una preoccupazione sana, che testimonia quanto i nostri rappresentanti sul territorio siano responsabili nello svolgimento del loro mandato. Ed è una preoccupazione che dovrebbe affiancarsi ad un altro aspetto, da monitorare con altrettanta attenzione rispetto all’impiego delle risorse per le spese di investimento: è cioè l’entità e la qualità delle spese correnti che saranno connesse alle opere pubbliche.

Facciamo un esempio, su un argomento che interessa tutti: la sanità. Se è vero che il progetto di rafforzare la medicina territoriale con i fondi Pnrr passa attraverso la realizzazione delle case e degli ospedali di comunità, strutture fisiche distribuite in modo più capillare nelle aree interne del Paese, è altrettanto vero che esse per poter svolgere la propria funzione al servizio dei cittadini dovranno essere dotate del personale necessario. Tema, quest’ultimo, che sta emergendo proprio in questi giorni, anche alla luce della richiesta – e della necessità, direi – di stabilizzare il personale assunto a tempo determinato per far fronte all’emergenza covid, che ha lavorato nelle nostre strutture sanitarie in via continuativa per almeno 18 mesi negli ultimi due anni. Assolvendo, peraltro, ad una previsione normativa contenuta nella Legge di bilancio per l’anno in corso. Si tratta di spesa corrente che deve trovare copertura, per evitare di avere tante belle opere pubbliche da inaugurare, ma non funzionali all’erogazione dei servizi alla cittadinanza. Ce ne stiamo occupando?

In conclusione, bene che con il Pnrr si tornino finalmente a finanziare in modo sensibile le spese di investimento. Ad esse dovremo affiancare un’oculatezza rigorosa nell’impiego dei fondi disponibili e un’attenzione estrema alla gestione del nuovo debito, con un occhio vigile alle spese correnti strettamente necessarie (e aggiuntive). Con un obiettivo di fondo: una crescita economica duratura, che garantisca in primo luogo nuova occupazione. È questo l’indicatore di risultato che decreterà il successo o meno del nostro impegno per le prossime generazioni.

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