Appendino non si ricandida, il centrodestra interpreti la voglia di cambiamento di Torino

Strano, se non addirittura emblematico, che un Sindaco non si ricandidi per un secondo mandato amministrativo. Era capitato a Bologna con Sergio Cofferati, ma in quel caso il PD corse ai ripari in extremis, evitandosi un secondo disastro elettorale, dopo la memorabile vittoria di Guazzaloca.
Nel caso di Chiara Appendino, invece, è lei che ha deciso con pochi intimi, ma con motivazioni troppo deboli per essere del tutto credibili. Perché mai non dovrebbe ricandidarsi se, come rivendica, ha amministrato Torino in modo tanto esemplare? Per via di una condanna risibile? Per noi garantisti del centrodestra non è una ragione sufficiente, così come non lo è neppure il rispetto del codice etico di un partito come il M5s, che di fatto esiste solo come aggregato di conventicole in libera uscita.
Posto che non è nella nostra cultura cestinare, per pregiudizio di parte, le esperienze di governo degli altri, anche per Appendino riteniamo che qualcosa di buono ci sia stato. Se non altro l’aver raccolto, dopo decenni monolitici di centrosinistra, quel bisogno di cambiamento dei torinesi, che però resta ancora in attesa di essere soddisfatto.
Aveva promesso di “ricucire una città ferita”, ma le ferite sono tuttora aperte e faticano a rimarginarsi. Anzi, tra centro e periferie, tra commercianti e assessori ZTL sempre e ovunque, tra automobilisti e ciclisti, le fratture sono aperte più che mai.
Niente di rilevante è stato fatto per costruire, sul tracciato dell’antica identità industriale subalpina, una nuova vocazione produttiva, capace di assorbire la disoccupazione e di creare nuove occasioni di lavoro (basteranno mica i 600 posti previsti per l’Istituto per Intelligenza Artificiale per arginare la perdita di posti di lavoro dovuti, ad esempio, alle sempre più frequenti chiusure di attività commerciali o le ricadute delle finali di tennis ATP per compensare la rinuncia alle Olimpiadi invernali?!). La città che i Cinque Stelle lasciano in eredità è indubbiamente diversa da quella che avevano ereditato, purtroppo però in negativo: più povera, più insicura, con meno abitanti, meno entrate e risorse, meno servizi, nessun rapporto costruttivo con il mondo del commercio e nessuna riorganizzazione della macchina comunale (il caos dell’anagrafe, lasciato in eredità da chi, paradossalmente, è andata a fare il Ministro dell’Innovazione, è addirittura sconcertante). E in aggiunta una Città metropolitana incapace di governare il territorio metropolitano.
Farsi giudicare dagli elettori, di fronte a questo panorama accidentato, è pericolosissimo. E allora meglio ritirarsi con una bella dichiarazione d’amore civico, per assecondare – in vista di futuri sviluppi personali – i disegni di Di Maio e del PD, in cerca di un ennesimo candidato salottiero.
Morale della favola: guai a quel centrodestra che si lasciasse scappare una simile occasione!