Per promuovere il lavoro agile nelle PPAA non basta il titolo, servono i finanziamenti

Promuovere il lavoro agile, favorire la diffusione dei servizi in rete e agevolare l’accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, autorizzando le pubbliche amministrazioni ad acquistare beni e servizi informatici senza gara pubblica, ma attraverso una scelta discrezionale. L’articolo 75 del decreto cosiddetto “Cura Italia” ha certamente una finalità condivisibile, quella cioè di estendere il più possibile il ricorso allo smart working presso gli enti pubblici. Peccato, però, che vi siano almeno un paio di limiti in questa previsione normativa.

Il primo, in prospettiva, è il rischio di aprire le nostre reti informatiche, specie quelle che trattano i dati più sensibili e che attengono alla nostra sicurezza nazionale, a fornitori non sicuri, in alcuni casi direttamente riconducibili a regimi stranieri, senza una procedura che garantisca la libera concorrenza.

Il secondo, più nell’immediato, è il fatto che tale disposizione non sia finanziata dallo Stato: si è lasciato, infatti, all’iniziativa delle amministrazioni pubbliche l’onere di procedere ad acquistare, ovviamente con risorse proprie, hardware e software necessari per consentire ai propri dipendenti di attivare progetti di lavoro a distanza. Con l’esito scontato di aver stabilito, ancora una volta, una norma-bandiera, che nella realtà non avrà effetti concreti, perché molte Amministrazioni locali, specie quelle dei Comuni più piccoli, non hanno nei loro bilanci le risorse necessarie ad adeguare le proprie strumentazioni informatiche. Si tratta, allora, di intervenire nella legge di conversione del decreto, e a tal fine presenterò una proposta di modifica che preveda un finanziamento agli enti locali.